Fonte: I giorni di Antigone, pp. 84-86

                                                                                                                   

Parole inglesi e italiano: troppa sabbia nella conchiglia

 

Che dire di un Paese che si appiattisce linguisticamente, imita, fa il verso, si ammanta di un alone straniero che crede elegante perché suona esotico?  Che dire di un Paese che sceglie per un suo ministero la parola welfare?  Parola spesso storpiata nella scrittura e che molti non sanno nemmeno cosa significhi letteralmente.

            Ho conosciuto un ragazzo che usava la parola mouse per indicare la manopola che accompagna la scrittura sullo schermo elettronico, senza sapere che vuol dire “topo.”  Così, molti usano parole di cui non conoscono il significato, con un misto di fascinazione, ardimento velleitario e complesso di inferiorità.  Che vuol dire leasing?  Che vuol dire briefing?  E backlash?  E core business?  E backorder?  E marketing?  E vendor?  E back screening e cento altre parole che usiamo a proposito e a sproposito tutti i giorni, in una specie di lingua orecchiata e puerile che non comunica se non per approssimazione?

            Il fatto è che le macchine parlano inglese e quindi, se vogliamo fare la figura di chi si intende di tecnologia, dobbiamo usare quell linguaggio cifrato, spesso incomprensibile e criptico che accompagna la vita degli apparecchi più all’avanguardia.  Non si dirà “vendere e fatturare,” ma sell out e sell in, non si dirà “l’incontro avverrà nella sala tal dei tali,” ma la location si trova in eccetera.  Una gran pena per chi ha a cuore la lingua italiana, una stonatura che stride nell’orecchio come una unghiata sul vetro.  Per non parlare della “esse” plurale che in italiano non ha senso perché disponiamo dell’articolo determinative a indicare il singolare e il plurale: non c’è bisogno di dire “i films,” quando l’articolo rivela che sto parlando di più pellicole e non di una sola.  Altrimenti direi “il film.”  E così per “i leaders,” “i weekends,” “le lobbies” e altre sciocchezze del genere.

            Alla fine dobbiamo proprio dire che ci troviamo di fronte a una dimostrazione di servilismo linguistico.  Come se non ci fidassimo della nostra lingua, e avessimo bisogno continuamente di prendere in prestito termini che all’orecchio dei più suonano estranei.  Aveva ragione Manzoni:  gli snob (preciso che la parola snob non viene dall’inglese come mi ha detto una studentessa giorni fa, ma dal latino sine nobilitatis) e gli arroganti esistono ancora, non si chiamano più Azzeccagarbugli ma si comportano come lui, cercando di intimidire chi non è addentro alle formule linguistiche.

            Molti, quando faccio questo discorso, mi dicono che la lingua non è morta e quindi si trasforma, rinasce, cambia forma e colore secondo le epoche, le generazioni e le esperienze storiche.  Giusto.  La lingua è un organismo vivente e quindi va incontro a mutazioni continue, questo è certo.  Non sono per un italiano che si trovi solo nei vocabolari.  Ma un conto è fare propria una parola non italiana e un conto è correre dietro a ogni vocabolo straniero alla moda.  Anche senza raggiungere il fanatismo dei francesi che pretendono di sostituire ogni vocabolo inglese con un corrispondente vocabolo francese, un poco più di attenzione e di cura per la nostra lingua non farebbe male a nessuno.  In Europa credo che siamo i più indifferenti di fronte allo scempio linguistico.  Perfino gli spagnoli, che pure usano molte parole inglesi, lo fanno a modo loro, spagnolizzando i termini, come hanno fatto con football che loro scrivono “futbol.”  L’italiano nei secoli si è arricchito di tante parole straniere: arabe, francesi, inglesi, perfino russe e portoghesi, ma l’ha fatto con fatica, disinnescando la forza disgregante dei termini stranieri, lavorandoli come fa la conchiglia col granello di sabbia, fino a farlo diventare una bella perla luminosa.  Oggi la conchiglia è piena di sabbia e anziché perle produce detriti.

 

 

(da “Corriere della Sera,” 14 febbraio 2006)    

 

 

Vocabolario: Scrivi una frase usando ogni parola.

 

appiattirsi— to flatten oneself

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velleitario— unrealistic

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stonatura— false note, clash

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unghiata— scratch

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sciocchezze— foolishness, nonsense

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scempio— havoc

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disinnescare— to defuse

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disgregare— to break up

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detriti— debris

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Parole inglesi: Fare una lista delle parole inglesi che sono usate nella lingua italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Domande:  Rispondi alle domande.

 

  1. Secondo te, perché è problematico usare parole straniere senza sapere il vero significato?

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  1. Perché sentire le parole inglesi è <<una gran pena per chi ha a cuore la lingua italiana…>>?

 

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  1. Qual è l’esempio che l’autrice usa per descrivere una sciocchezza della lingua italiana moderna?

 

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  1. Che cosa significa la frase <<servilismo linguistico>>?

 

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  1. L’autrice usa come esempio un personaggio da un romanzo di Alessandro Manzoni. Come si chiama? Che cosa rappresenta l’idea di questo personaggio?

 

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  1. Secondo l’autore, la lingua è <<un organismo vivente>> che cambia continuamente. Sei d’accordo?

 

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  1. Che cosa fanno i francesi con le parole inglesi? E gli spagnoli?

 

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  1. Hai notato la metafora della conchiglia? Che cosa significa?

 

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  1. Nel passato che cosa faceva <<la conchiglia>>? E oggi? Perché?

 

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  1. Pensa a alcune parole straniere che fanno parte della lingua inglese. Fai una lista.

 

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